Rolando Melato: il primo presidente Acrib


Parlare di storia dell’A.C.Ri.B significa, davvero, parlare di una straordinaria avventura costruita da imprenditori, ma, prima di tutto, da uomini. C’è una foto, scattata in una sala da ballo affittata per l’occasione, che ritrae Paolo Prando, Giovanni Sanavia, Ivone Beggio, Amleto Donadelli, Rolando Melato e Luigino Rossi: è da poco trascorso il Natale del 1961 e si sta aprendo la prima assemblea generale dell’A.C.Ri.B. Da quel momento l’Associazione Calzaturieri della Riviera del Brenta di strada ne ha fatta davvero tanta. Il successo, naturalmente, è stato frutto di scelte, di fortune e di mercati ma anche, e soprattutto, come dicevamo all’inizio, da uomini. Uomini che hanno fortemente creduto nell’associazionismo per crescere insieme: uomini come Rolando Melato, il primo Presidente A.C.Ri.B., recentemente scomparso. Classe 1920, Melato amava spesso raccontare la storia delle proprie origini, povere e umili come quelle di gran parte degli imprenditori che, attraverso sacrifici e duro lavoro, hanno fatto la fortuna del distretto calzaturiero della Riviera del Brenta. Dopo un’infanzia contraddistinta da tante privazioni, Rolando Melato cominciò ben presto a guardarsi in giro per iniziare a dedicarsi a un lavoro. Non era facile, in un’Italia uscita da poco dalla Seconda Guerra Mondiale. “L’unico campo in cui avevo maturato un po’ di esperienza – racconta Melato nel libro-intervista di Francesco Jori, scritto in occasione dei 40 anni di A.C.Ri.B. – era quello delle calzature. A Stra ero abbastanza conosciuto e potevo disporre di buone amicizie. Così, un giorno, decisi di andare a salutare Bepi Gasparin, che prima della guerra si occupava di commercio di pellami. Gli rivelai la mia intenzione di mettermi in proprio a fare scarpe, e lui con generosità disse che voleva aiutarmi, visto e considerato che disponeva di una buona quantità di cuoio e pellame. Da qui ebbe inizio la mia attività, che presto condivisi con mio fratello Danilo. Visto il buon andamento degli affari, pensai di ampliare la clientela recandomi a Treviso, Conegliano, Pordenone e Udine. Nel 1950 si presentò l’occasione di acquistare una vecchia villa a Noventa Padovana e qui trasferii provvisoriamente l’attività produttiva nelle antiche scuderie. Nei primi mesi del 1962 fervevano alacremente i lavori per il nuovo stabilimento, tanto che già nel mese di maggio eravamo entrati in produzione con macchine modernissime per quei tempi. Siamo arrivati così ad assumere una cinquantina di operai, oltre ai magazzinieri e agli impiegati. La produzione era di 500 paia giornaliere. In seguito, grazie a Rino Baldan che conobbi a Trieste, mi avvicinai al mercato tedesco. Un giorno Baldan venne a prendermi con la sua giardinetta 500 e partimmo, senza conoscere una parola di tedesco, per Monaco di Baviera. Arrivati a Monaco, insieme a un ragazzo del posto che Baldan aveva conosciuto a Vigevano, andammo in giro per i negozi offrendo le nostre scarpe. Riuscii a crearmi un’ottima clientela, non solo in Germania, ma anche in Olanda, Austria e Svizzera. Nel mio andare e venire in Germania ebbi anche delle avventure incredibili. Un giorno durante il viaggio fusi il motore della mia Giulietta e, portata in un’officina di Hannover mi dissero che sarebbero stati necessari 10 giorni per la riparazione. Lasciai l’auto, presi con me due valigie di campioni più un sacchetto con pigiama, sapone e spazzolino: mi spostavo in treno di notte per essere al mattino successivo dal cliente da cui ero atteso. Ritirata la macchina mi misi nuovamente in viaggio, ma purtroppo ebbi ancora guai con il motore. Telefonai nuovamente all’officina e mi risposero che per riparare la macchina avrei dovuto pazientare almeno quindici giorni. A quel punto presi una decisione al limite dell’incoscienza: acquistai due corde da traino e iniziai a chiedere l’autostop fermando dei camion. Fortunatamente trovai autisti comprensivi e gentili e il primo camion mi trainò fino a Kassel. Un secondo mi portò poi a Stoccarda e in seguito un terzo mi portò a Monaco; qui ebbi la fortuna di trovare un camion diretto a Innsbruck, in Austria. Nel frattempo aveva iniziato a piovere e, poiché le corde usate per il traino erano corte, le ruote del camion sporcavano il parabrezza della mia auto. Purtroppo potevo usare il tergicristallo solo di tanto in tanto, per non scaricare la batteria e così, tenendo il finestrino abbassato, pulivo il vetro con uno straccio. Dal confine con l’Italia, essendo fortunatamente la strada in discesa, procedetti in folle. Trovato riparo in un albergo-ristorante per la notte, al mattino telefonai a casa per farmi venire a prendere dall’amico meccanico Guido Greggio”. Una storia davvero incredibile, quella che ci ha raccontato in queste pagine Rolando Melato attraverso la penna di Francesco Jori. Ma quali erano i ricordi dell’A.C.Ri.B., l’Associazione che Melato aveva dato vita e sostenuto con forza insieme ad altri imprenditori? “Con l’attivazione della nuova fabbrica a cui venne imposto il nome prima ‘Mara’ e poi ‘Myriam’- racconta Melato – eravamo giunti a produrre mille paia di scarpe al giorno, che però non erano sufficienti a soddisfare la domanda, per cui dovevamo passare parte degli ordinativi ad alcuni artigiani. Nel frattempo, in zona, iniziavano a nascere numerose attività artigianali, con aziende anche di rilievo. Così una sera ci trovammo in un ristorante e si iniziò a prendere in considerazione l’idea di formare un’associazione per far si che, mettendoci insieme, potessimo diventare una forza effettuando acquisti collettivi, avere un consulente sindacale ed entrare nell’ANCI per discutere i nostri problemi e quelli di importanza nazionale. Ci trovammo poi la famosa sera del 27 dicembre 1961 nella sala da ballo di Paolo Moro per fissare le adesioni, facendo pagare agli aderenti una quota di 10.000 lire. In quell’occasione si decise il nome dell’associazione, A.C.Ri.B., e le cariche: fui eletto Presidente all’unanimità. Tra i primi traguardi raggiunti, riuscimmo a conquistarci nuovi spazi all’estero, dove nei primi tempi i nostri espositori erano obbligati a mettere in vetrina il loro prodotto in camere d’albergo. Negli anni ’60, a Dusseldorf, ci accordammo con il direttore di una grande birreria che ci mise a disposizione una grande sala al primo piano e firmammo un accordo quadriennale. Tempo dopo riuscimmo ad ottenere dalla GDS di Dusseldorf un intero padiglione da mettere a disposi- Rolando Melato davanti al suo stand a Dusseldorf negli anni 70 zione dei calzaturieri italiani. Gli impegni cominciavano ad essere troppi per me e così, il, 30 novembre 1962, decisi di rassegnare le dimissioni da presidente dell’A.C.Ri.B., lasciando il testimone nelle mani di Amleto Donadelli”. Ecco la straordinaria storia di Rolando Melato, un uomo che amava dire: “Essere giovane significa conservare anche a 60, 70, 80 anni l’amore del meraviglioso, lo stupore per le cose sfavillanti e per i pensieri luminosi”. Un messaggio di entusiasmo per i valori della vita e del lavoro che, certo, non ha bisogno di commenti. (Diego Mazzetto)
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