LUIGINO ROSSI, IL FILOSOFO DELLA SCARPA

Nella prestigiosa cornice della foresteria di villa Foscarini-Rossi, è stato presentato venerdì 30 novembre il libro “La Filosofia della Scarpa”, scritto dall’industriale calzaturiero della Riviera del Brenta Luigino Rossi in collaborazione con l’editorialista di “Repubblica” Francesco Jori. Agile e di pratica lettura, il libro fa parte di una collana dedicata ai protagonisti del Nordest ed è pubblicato dalle Edizioni Biblioteca dell’Immagine. All’incontro, iniziato con la visita al Museo della scarpa allestito nel corpo padronale di villa Foscarini-Rossi, hanno partecipato numerosi esponenti del mondo calzaturiero, imprenditoriale e della stampa. Tra i relatori, anche il neo presidente dell’Acrib Giuseppe Baiardo che ha sottolineato alcuni momenti professionali legati all’incontro con Rossi. Francesco Jori, curatore del libro, nel suo intervento ha messo in risalto le qualità umane e professionali di Luigino Rossi negli anni in cui, dal 1982 al 2001, l’imprenditore ha assunto la presidenza del “Gazzettino”. Sempre tra i relatori anche il prof. Giuseppe Vettorel, Sindaco di Stra dal 1951 al 1970 e Presidente della mostra della calzatura dal 1955 al 1966, che con l’occasione ha presentato il suo libro “Ville della Riviera del Brenta” e l’editore Santarosa a cui spetta la pubblicazione de “La Filosofia sella Scarpa”. Ma ora veniamo al libro. E’ una storia che ha radici lontane quella con cui inizia questo lungo racconto. Una storia che comincia in una fattoria di Noventana, frazione di Noventa. “Sono nato - scrive Rossi - in una casa dove vivevano mio nonno e mio zio, fittavoli con un po’ di campi da coltivare. In stalla c’erano una ventina di mucche; mio nonno andava a mungerle tutte le mattine alle cinque. Riempiva una dozzina di grandi bidoni, li caricava su un carretto tirato da un cavallo, e poi andava a Stra a rifornire il paese di latte”. La famiglia era numerosa: quattro i ragazzi figli di Narciso, il papà di Luigino, tre quelli dello zio, tutti sette maschi. Papà Narciso, per incrementare il bilancio familiare, ad un certo punto decise di entrare come operaio presso la fabbrica di scarpe avviata da Giovanni Voltan. Trascorsero alcuni anni e, finito il ciclo scolastico dell’avviamento e ottenuto il diploma, Luigino fu preso da parte un giorno dal padre, che nel frattempo si era messo con due soci a fare scarpe in proprio. Al ragazzo piaceva studiare ma le priorità in quei momenti erano altre. “Hai studiato anche troppo - disse Narciso al figlio - adesso è bene che tu impari un mestiere. Però è meglio che prima di entrare nella nostra ditta tu vada sotto padrone da qualche parte, così impari le regole”. Al figlio trovò posto da un suo amico che faceva manichini a Busa di Vigonza. Luigino rimase lì per un anno e mezzo, poi cominciò a lavorare nella bottega paterna dove imparò a fare un po’ di tutto, dalla produzione ai conti. “Per tre anni - racconta Luigino - feci davvero di tutto - dal garzone al venditore contabile. Ho impresso nella mente soprattutto un insegnamento che è stato fino all’ultimo momento della sua vita il monito di mio padre: prima paga gli operai, il resto viene dopo”. Anni di sacrifici, di lavoro duro, di viaggi con il motorino a consegnare le scarpe prodotte e poi, pian piano, il mercato inizia ad ingranare e allargarsi. Trascorrono altri anni ancora tra varie esperienze e, all’improvviso, giunge la svolta. “Quando comincio a girare per Parigi, nei primi anni Sessanta - continua Rossi - rimango incantato dai negozi. Mi fermo in particolare davanti alle vetrine di Jourdan, lungo gli Champs Elisées, con le scarpe da donna firmate da lui e da Christian Dior. C’è davvero di che perdere gli occhi, e io consumo vagonate di rullini fotografici per riprendere i vari modelli. Un giorno mi trovo davanti alla vetrina di Jourdan, come tante altre volte, e vedo un sandalo con tacco quadrato e cromato alto sei centimetri. Sto per fotografarlo, quando decido di cambiare strategia: stavolta entro e lo compro. Faccio un giro per il negozio e alla fine chiedo un 37 di quel modello, spiegando che è per mia moglie. Quando sto per pagare, un signore distinto che affianca le commesse mi chiede se sono italiano e se sono produttore di scarpe: lo capisco da come le prende in mano e le guarda, mi spiega. Quel signore è il presidente della società in persona: il mitico Roland Jourdan”. Da quell’incontro casuale nasce un rapporto di stretta collaborazione e inizia la strada in salita di Luigino Rossi. Primo in Italia comincia a produrre e distribuire su licenza calzature firmate dai grandi stilisti francesi (Christian Dior, Ives Sain Laurent, Givenchy), cui si aggiungono negli anni successivi altre prestigiose licenze. Nel 2000-2005 realizza un accordo di partecipazione nel capitale dell’azienda di famiglia Rossimoda creata con i fratelli Dino e Diego (di cui Luigino è presidente e amministratore delegato), insieme al grande gruppo francese del lusso Lvmh con nuove licenze di produzione e distribuzione. Ma non è solo il mondo calzaturiero (del quale ha ricoperto le più alte cariche a livello italiano ed europeo), ad affascinare Luigino Rossi. Sostenitore del recupero e del restauro delle ville storiche della Riviera del Brenta, collezionista di opere d’arte moderna e contemporanea, Presidente del comitato italiano per la salvaguardia di Venezia, membro del comitato organizzatore del premio letterario “Campiello” e, infine, vicepresidente del consiglio di amministrazione della Fondazione Gran Teatro “La Fenice” di Venezia. Leggendo il libro, piacevole e scritto con semplicità, emerge una vita straordinaria fatta di personaggi, aneddoti, testimonianze e curiosità da cui scaturisce una lezione soprattutto per i giovani: non imboccare mai la via più facile, ma la più impegnativa con orgoglio e tenacia. In questo senso va interpretato il libro: la storia di vita di un uomo esemplare per capacità e attenzione ai rapporti umani, nata e cresciuta in quel Nordest che, partendo da zero, è diventato la fucina di una realtà economica ammirata, invidiata e decantata in tutto il mondo. (Diego Mazzetto)
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